di Giovanni Ballarini
Condividiamo oggi un articolo scritto dal Professor Giovanni Ballarini, accademico nella Delegazione di Parma dell’Accademia Italiana della Cucina dal 1986.
Nel passato tre erano i grassi presenti nelle cucine tradizionali italiane: l’olio, il burro e il lardo con lo strutto; in auge ed osannato è oggi il primo, a volte criminalizzato il secondo, dimenticati il lardo e lo strutto che nel passato erano alla base della cucina popolare tanto che il lardo merita il detto tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino, un proverbio significa che chiunque compie un’azione proibita alla fine rischia di subire conseguenze pericolose.
La più accreditata interpretazione del proverbio lo riconduce al frequente uso del lardo nella cucina popolare dove è l’ingrediente principe per fare il battuto alla base del sugo finto, del brodo finto e soprattutto di diversi ragù. Il lardo, con la cipolla, prezzemolo e altre erbe odorifere sono tritati su un tagliere denominato battilardo, un nome che la dice lunga, usando un pesante coltello. Il lardo può anche essere tagliato in pezzi con la mezzaluna, una lama ricurva che si tiene con entrambe le mani, e in ogni modo non era acquistato sotto forma di comode fette o dadini, in vaschette sottovuoto al supermercato, come accade oggi. Il lardo trasformato in un impasto morbido è soffritto fino a diventare biondo per ottenere il già citato brodo finto, i sughi e i ragù. Quando il lardo è battuto o tagliato con la mezzaluna può accadere che l’onnipresente gatta domestica tenti furtivamente di sottrarre un pezzetto di lardo e allungando la sua zampina rischia di vedersela tagliata. Non è da scartare l’altra, meno probabile supposizione dell’uso di un pezzetto di lardo come esca nelle trappole per i topi al posto del formaggio e se la gatta tenta d’assaggiare l’esca fa scattare la trappola che taglia lo zampino. In entrambi i casi la gatta del proverbio, che troppo vuole tentare e rischiare, ci lascia lo zampino. Un’altra interpretazione del proverbio si riferisce all’impronta dello zampino che la gatta lascerebbe quando ruba un pezzetto di lardo.
È nel Medioevo che il lardo assume la maggiore valorizzazione nella cucina. Antimo, medico greco alla corte dell’imperatore romano d’Oriente Zenone di Bisanzio e approdato a Ravenna durante la dominazione di Teodorico, dopo il 511 compone il manuale di dietetica De observatione ciborum ad Theodoricum regem Francorum epistola dove scrive che il lardo serve da condimento per verdure e per ogni altro cibo. L’affermazione politica e sociale dei popoli germanici medievali promuove d’immagine del grasso animale, facendo divenire il lardo il grasso per eccellenza della cucina aristocratica e perfino dell’alimentazione monastica. A questo fanno eccezione gli obblighi imposti dal calendario liturgico che costringe i cristiani a sostituire il lardo animale con l’olio vegetale, generando così per la prima volta un’inedita alternanza tra i due grassi.
Nel medioevo oltre al lardo e al suo derivato, lo strutto, vi è anche l’oleum lardinum ottenuto dalla spremitura a freddo delle parti più tenere dei tessuti grassi del maiale e, in quanto liquido, ritenuto simile all’olio, quindi cibo magro, del quale è permesso l’uso in Quaresima e in altri giorni di astinenza dalle carni. Per questo nell’anno 818 il Concilio di Aix decide di sostituire l’olio d’oliva con il grasso estratto dal lardo e retoricamente denominato oleum lardinum e più tardi, a metà del 1300, Gregorio XI fa un’analoga concessione al Re di Francia. Nel XIV secolo gli olii della cucina di magro e il lardo della cucina di grasso sono venduti dalla corporazione dei Lardaroli, il cui nome indica l’importanza assunta del lardo.
Che il lardo, ora spesso criminalizzato, fosse molto importante per l’alimentazione e avesse un fondamentale ruolo nelle cucine del passato lo sappiamo anche dal suo prezzo, non di rado superiore a quello del prosciutto, ma anche dagli interventi delle autorità sul suo uso. Esemplare è quando nell’anno 1824 alla popolazione della grassa e dotta Bologna e del suo territorio è concesso l’uso del lardo e dello strutto anche nei giorni di magro, salvo diciannove prefestività l’anno, perché in quel periodo vi è una gravissima carestia agricola e il grasso ottenuto dai maiali e dai cinghiali che pascolano nei boschi è ancora un cibo disponibile.
Adesso lardo e strutto hanno una composizione che si avvicina a quella di molti oli vegetali, principalmente soia e mais, perché i maiali sono alimentati con queste granaglie e loro oli. Inoltre oggi abbiamo cambiato le idee sul ruolo che il colesterolo contenuto negli alimenti ha nel determinare i suoi livelli nel sangue del consumatore, che sono prevalentemente determinati dal suo metabolismo e dalla genetica. Un ritorno a un corretto uso del lardo e dello strutto in un’alimentazione equilibrata è auspicabile, anche per i loro valori gastronomici, con la riscoperta di antiche tradizioni, con le invenzioni dei grandi cuochi e con l’offerta che vi è di lardi di grande qualità DOP, IGP e PAT. Tra questi vi è il Lardo di Colonnata IGP che ha una grande notorietà per il suo gusto unico e la sua delicatezza che dipende dalla scelta delle materie prime (suino pesante, aromi usati ecc.) e dalla stagionatura compiuta in vasche di marmo (conche). Altrettanto noto è il Lardo di Arnad DOP stagionato in vasche di legno e insaporito con ginepro, alloro, noce moscata, salvia e rosmarino. Numerosi sono infine i lardi PAT (Prodotto Alimentare Tipico) sempre più usati nelle cucine tradizionali e tra questi sono da ricordare il Lardo Cuneo, Lardo di Basilicata, Lardo Piemontese, Lardo di Faeto, Lardo del Montefeltro, Lardo Piacentino, Lardo Friulano, Lardo Lucano, Lardo Molisano, Lardo di Leonessa, Lardo stagionato di maiale nero laziale.
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